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La Chiesa della Madonna Assunta
L’edificio si erge sulla strada verso Torre Mozza, in un’area ricca di reperti dell’epoca romana, vicino al percorso dell’antica «via Sallentina».
Nel 1649, Monsignor Agostino Barbosa annotò durante una visita pastorale che molti abitanti delle masserie circostanti si radunavano la domenica nella chiesa conosciuta come Madonna di Pompignano, dedicata alla Vergine Maria Assunta in Cielo. La chiesa, ricostruita nel XVI secolo, ha svelato nel 1984 la presenza di tombe medievali a cappuccina dietro di essa, suggerendo che il sito ospitava la chiesa dell’antico casale medievale di Pompignano.
La facciata, slanciata e priva di ornamenti, è delimitata da due poderose paraste e termina con due spioventi sormontati da una croce in pietra. Presenta, inoltre, un piccolo campanile a vela.
Tra il portale e la finestra si trova una lapide che commemora il principale restauro avvenuto nel 1701:
«QUAE LATUIT NON CULTA DIU CAELESTIS IMAGO / PANDITUR ET BONIS INTIMA CORDA REPLET / ADMOVESISTE PEDEM PROCUL HINC NE ABSCEDE / VIATOR HIC VENERA HIC CLAMA SUNT / SUA SIGNA VOTIS / A.D. MDCCI / EX CARITATE FIDELIUM D. ORONTIUS SAMMALI / RESTAURAVIT»
(Traduzione: «Questa immagine celeste che a lungo restò nascosta al culto, si è manifestata e riempie i cuori di gioia. O viandante, giungendo da lontano, ferma il piede, non allontanartene. Qui le preghiere, qui le suppliche sono i segni della sua protezione, per i devoti. A.D. 1701. Con le elemosine dei fedeli don Oronzo Sammali la restaurò»)
Don Oronzo Sammali (1657 - 1725), che a quel tempo non era ancora Parroco di Acquarica, fu personalità colta e abile pittore: infatti gli è attribuito l’imponente affresco di tardo stile barocco dedicato alla Vergine Assunta in cielo che occupa l’intera parete di fondo dell’abside, oltre ad essere autore di una tela conservata nella Chiesa Matrice della Trasfigurazione in Taurisano.
Nella parte superiore dell’affresco, un medaglione mostra gli ultimi versi dell’epigrafe esterna, mentre al centro, su due linee curve, si legge un’altra scritta:
«REXTRUIT HOC VOTIS ANTIQUO INCULTA SACELLO / OMNIBUS ALMA PARENS UT VENERATA FAMENS»
(Traduzione: «la Madre di Dio nascosta alle preghiere di tutti ricostruì quest’antica cappella perché fosse venerata»).
L’interno della cappella presenta una singola navata e sul muro di fondo si trova una Madonna con Bambino, ridipinta più volte, probabilmente risalente al Cinquecento.
Il Bambino tiene in mano il Vangelo, su cui si possono leggere alcune frasi, inclusa l’iscrizione «EGO SUM LUX MUNDI...». Sopra questo affresco, in passato, era stata sovrapposta una tela con l’immagine della Madonna, opera di arte popolare, sottratta all’inizio degli anni ’80 del XX secolo.
Ai lati dell’immagine sono rappresentati gli elementi tipici di un altare del primo Settecento, con nicchie e statue laterali, che raffigurano probabilmente San Francesco e Sant’Oronzo (a destra) e San Giuseppe e un altro santo di difficile identificazione (a sinistra).
Nel 1970, si è proceduto all’ultimo restauro con l’applicazione di intonaco sui muri perimetrali e la posa di un pavimento in cotto.
Il paesaggio circostante la Chiesa è segnato da numerosi appezzamenti di terreno con olivi secolari, delimitati da muretti a secco (le tipiche cesure olivetate descritte nei Catasti Onciari della metà del Settecento) e da oliveti di più recente impianto.
L'insediamento di Pompignano e i ritrovamenti archeologici
L’insediamento di Pompignano risulta collocato in una zona ricca di resti del periodo romano: nell’area, infatti, sono stati ritrovati frammenti di terraglie, idoli e monete dell’età repubblicana o imperiale, oltre ad alcune tombe. Negli anni ’60 del XX secolo, durante i lavori di ripristino della chiesa, furono rinvenute, nella parte retrostante l’edificio, alcune fosse scavate nel banco roccioso, insieme a resti ossei. Nella stessa area furono ritrovate monete, probabilmente magnogreche e della zecca di Ugento, nonché altri reperti.
Lo stesso toponimo Pompignano (Pompiniani, 1271; Pumpignano, 1340; Pompeiani, 1378; Purpignanum, 1411; Cumpigliano, XVII secolo; Purpignano, 1806) sembra rimandare all’epoca romana, come predium (proprietà terriera) di un certo Pomponius o Pompeo.
Nonostante le numerose speculazioni sulla sua origine, l’area non è stata ancora indagata approfonditamente dal punto di vista archeologico. I dati attuali, spesso forniti da storici locali, confermano la presenza di insediamenti rurali di età romana con una notevole concentrazione di ceramica sigillata chiara di epoca tardoimperiale. Tuttavia, come sottolinea lo storico Carmelo Sigliuzzo (1894–1965), «alcuni resti di terraglie sono di fattura precedente» all’epoca romana. Nelle vicinanze erano presenti anche due antichissime specchie (cumuli di pietre con funzioni funerarie o di vedetta) segnalate dal Prof. Cosimo De Giorgi: quella distrutta, vicina alla chiesa, detta «Specchia di Pompignano», e lo «Specchiullo» nei pressi della Masseria fortificata Colombo, di cui rimangono delle tracce.
Tali elementi hanno fatto fiorire una serie di leggende legate all’esistenza di tesori (acchiature), come quelle sulla «Pila di Pompignano» (un enorme abbeveratoio scavato in un blocco di pietra), riportate con varianti dallo storico Carmelo Sigliuzzo e dal Prof. Carlo Stasi. Quest’ultimo nel 1982 salvò dalla distruzione la pila abbandonata nelle vicinanze della chiesa, la quale fu poi trasferita nel cortile del Castello Medievale di Acquarica, dove è tuttora custodita.
Varie sono anche le ipotesi sulla fine del casale: Giacomo Arditi (1815–1891) riteneva fosse stato distrutto dalle incursioni dei Saraceni tra il IX e il X secolo e che i suoi abitanti riparassero ad Acquarica del Capo. Di tutt’altro avviso il Sigliuzzo, che indica le cause dello spopolamento, comune a molti casali, nella combinazione di tre avvenimenti: la peste del 1429, gli assedi del 1434 in territorio ugentino della compagnia di ventura di Giacomo Caldora (inviato dalla Regina Giovanna II d’Angiò per punire il Principe di Taranto, Giovanni Antonio Orsini del Balzo, che si era alleato con gli Aragonesi) e il devastante terremoto che colpì l’Italia centro-meridionale nel 1456; a questi eventi si aggiunsero l’inaridimento delle acque sorgive e la diffusione della malaria che portarono all’abbandono dell’insediamento, contribuendo insieme ai casali di Celsorizzo e Cardigliano, allo sviluppo della popolazione di Acquarica.
L’abitato, pertanto, potrebbe essere sopravvissuto anche in età bizantina, ma è citato ufficialmente solo nel 1271, quando Carlo D’Angiò ordinò di tassare le terre di Ortenzano, Pompignano, Gemini, Casavetere e Mandurino, assieme alla terra di Ugento, possesso di Tommaso D’Aquino del fu Adenolfo, conte di Acerra e di Ugento.
Nel periodo angioino, Pompignano apparteneva giurisdizionalmente a Ugento, mentre nel 1276 fu concesso assieme a Gemini (probabilmente a titolo gratuito e unitamente al titolo di barone) alla mensa vescovile di Ugento sotto il vescovato di Lando di Vico Bianco (la conferma del re di Napoli avvenne nel 1325) della quale furono pertinenza sino al 1808.
Secondo il Corvaglia, nel 1411 Pompignano fu tassata insieme a Gemini, ma nelle tassazioni dei fuochi del 1447 non compare più, segno che il casale rimase spopolato.
A seguito delle invasioni turche tra XV e XVI secolo, il vescovo di Ugento fece erigere numerose torri d’avvistamento, che col tempo divennero masserie. Tra queste, nelle vicinanze, troviamo Torre dei Fiumicelli (Torre Mozza), masseria Rottacapozza, masseria Sammali, masseria Cristo e masseria Tonda, Gian Ferrante, Petrullo, Morosano, Fabrizi (parte della Casarana), i cui abitanti frequentavano l’antica chiesa della Madonna di Pompignano.
Pompignano fu nei secoli un esteso feudo che disponeva di terreni di varia natura che consentivano di praticare colture diverse, dall’olivo alla vite, al seminativo, e con terreni macchiosi e pascolativi che si estendevano fino alle Macchie di Don Cesare e alle paludi di Rottacapozza. Un feudo molto ambito, come testimoniano le numerose successioni feudali dal XIII secolo fino al 1806: ai tempi di Carlo I d’Angiò appartenne alla famiglia Castromediano, ma nel XIII secolo lo troviamo riportato tra i beni dei D’Aquino, dei De Specola e Pietravalda (1316), dai quali passò ai Barrile (1339), ai Sancta Cruce (1346), ai Fugiani (1378) e successivamente ad altri. Nel 1536 fu concesso da Carlo V a Vittorio Chiodo, il quale lo tenne fino al 1662. Dopo la morte di quest’ultimo, pervenne ai Della Ratta e successivamente ai Monticelli-Ripa.
Fonti
AA.VV. Istituto Comprensivo Statale Acquarica del Capo, "Acquarica del Capo - percorsi nel territorio e nella memoria", Editrice PrintLeader, 2001;
Arditi Giacomo, "La corografia fisica e storica della Provincia di Terra d'Otranto", Stabilimento Tipografico Scipione Ammirato, 1879;
Bortone G., Cazzato C., Costantini A., "Schede insediamenti e elementi rurali", Elaborato I, Associazione dei Comuni di Acquarica del Capo e Presicce, 2018;
De Giorgi Cosimo, "Le specchie in Terra d'Otranto", in "Rivista storica Salentina", Stab. Tip. Giurdignano, 1905;
Marino Salvatore, "Tracce di Storia in Acquarica del Capo, Le iscrizioni - I campanili", Edizioni Leucasia, 2001;
Ruppi Francesca (a cura di), "I manoscritti di Carmelo Sigliuzzo", Vol. 1, Edizioni Grifo, 2010;
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