Vitantonio Caccetti, del fu Nicola, nacque ad Acquarica del Capo nel 1788. Il cognome Caccetta (indicato sul finire del Settecento come Caccetti), oggi quasi del tutto scomparso, secoli addietro era molto diffuso in Acquarica e associato a famiglie benestanti: basti pensare a Tommaso Caccetta che fece erigere nella Chiesa di San Carlo l'altare di Santa Maria di Costantinopoli.
Vitantonio, Aiutante Sottoufficiale del Reggimento borbonico «Regina Cavalleria», viene ricordato «tra i più benemeriti patrioti salentini del periodo Carbonaro» (cit. Rinascenza salentina, organo della R. Deputazione di storia patria per le Puglie), unico salentino ad aver partecipato ai moti rivoluzionari di Napoli del 1820, primi tentativi di insurrezione contro i regimi assolutisti che diedero il via al Risorgimento italiano.
Le rivolte ebbero origine da un convegno segreto della Carboneria tenutosi nel 1820 tra la fine maggio e l'inizio di giugno a Lesina, in Capitanata, dove intervennero alcuni dei più eminenti gerarchi dell’esercito borbonico. Qui fu pianificato un primo tentativo - poi rinviato - di proclamare la Costituzione, sul modello di quella di Spagna, previsto per il 27 e 28 giugno. Altri tentativi di rivoluzione seguirono ma furono tutti sventati dalla polizia. Fu così che l’abate Luigi Minichini da Nola, d’accordo il Tenente Michele Morelli e il Sottotenente Giuseppe Silvati del reggimento «Borbone Cavalleria», decisero di insorgere nella notte fra il 1° e il 2 luglio 1820 partendo da Nola. Le truppe che si rivoltarono (127 uomini e 20 ufficiali, ai quali si unirono dei civili), dopo varie peripezie si accamparono tra le gole di Monteforte, dove il nuovo regime fu proclamato al grido di «Viva la Costituzione! viva la Libertà!».
La notizia si diffuse rapidamente nei centri vicini, provocando nuove defezioni nell’esercito del Re. Tuttavia, come riferisce Antonio Lucarelli, storico del Risorgimento «..il fatto più notevole, per cui volsero a lieto fine in quei primi giorni le sorti della rivoluzione ancora incerte nella giornata del 5 luglio, fu senza dubbio la defezione dei due reggimenti Dragoni Ferdinando e Regina Cavalleria ...», quest’ultimo «... agli ordini del colonnello Gennaro Celentano, che a sua volta cospirava nel suo reggimento con Ciriaco Romano di Ascoli, Pasquale Pesce di Lucera e Vitantonio Caccetti di Acquarica del Capo», su sollecitazione del Collonnello Riccardo Tupputi.
A causa dell’estendersi della rivolta, il 6 luglio 1820 il Re Ferdinando fu costretto a promettere la Costituzione. Alcuni mesi dopo, tuttavia, il Sovrano chiese l’intervento armato dell’Austria per ripristinare l’assolutismo: il Governo e il Parlamento degli insorti di Napoli tentarono la resistenza ma il 7 marzo 1821 l'esercito fu sconfitto ad Antrodoco (Rieti), e il 23 marzo gli Austriaci entrarono a Napoli.
Dopo un paio di mesi, il Sovrano revocò la costituzione e affidò al Ministro di polizia, il Principe di Canosa, il compito di catturare i cospiratori. Il 30 maggio 1821 il Re concesse l’amnistia ai rivoluzionari, eccetto i militari e settari di Monteforte, da dove era partita la scintilla rivoluzionaria: il Caccetti e gli altri accusati furono dunque imprigionati nel carcere palermitano della Vicarìa, noto per le condizioni inumane in cui erano tenuti i prigionieri
Iniziarono così le «Cause di Monteforte» affidate alla Gran Corte Speciale di Napoli, nella prima delle quali (giugno - settembre 1822), Vitantonio Caccetti fu processato assieme agli altri rei presenti.
Il Procuratore Generale chiese la pena di morte da eseguirsi col «terzo grado di pubblico esempio»: i condannati sarebbero stati trascinati sul luogo dell’esecuzione a piedi nudi, vestiti di tunica nera, con cartello d’infamia sulle spalle e velo nero sul viso.
Il 10 settembre 1822, i giudici, riconosciuta la «cooperazione» o «complicità» degli imputati nelle azioni di Silvati e Morelli, confermarono le richieste del Procuratore Generale, tranne per alcuni ufficiali, tra cui il Caccetti che, all’età di 34 anni, fu condannato a venticinque anni di prigione, per aver «scientemente facilitato, ed assistito gli autori della rivolta di Luglio 1820»; la pena gli fu ridotta poi a 18 anni per effetto del Regio Decreto che, nella stessa giornata, commutò la pena di morte in ergastolo o prigionia a tutti i condannati, fuorché Silvati e Morelli, giustiziati il giorno stesso. Agli scampati alla morte "si recisero i capelli, s'imposero vesti e ferri di pena, si accoppiarono (però che in quel martirio son tenuti a coppia) con altri condannati per delitti vituperevoli, e così andarono agl'infami scogli di Santo Stefano e Pantelleria". Successivamente, la pena di Caccetti fu ridotta a 14 anni.
(Fonti: Antonio Lucarelli, “I pugliesi nella causa di Monteforte”, in “Japigia”, XVI, p. 86-95, 1945; Rinascenza salentina, organo della R. Deputazione di storia patria per le Puglie, pag. 216, 1935, R. Tipografia editrice salentina; Decisione della Gran Corte speciale di Napoli specialmente delegata da S.M. (D.G.) nella causa contro i rivoltosi di Monteforte ed Avellino per la ribellione in detti luoghi scoppiata nel 2 di luglio 1820; Pietro Colletta, "Storia del reame di Napoli dal 1734 sino al 1825", Tomo 2, Baudry, 1835; Giuseppe Giacovazzo, "Puglia - il suo cuore", pag. 345, Palomar, 2003)
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