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  • Immagine del redattorePro Loco Acquarica del Capo

Chiesa di San Carlo Borromeo (Sec. XVII)


Indice


Le origini della chiesa e il suo primato in Terra d'Otranto

Ubicata nella piazza omonima, la chiesa fu edificata nel 1619 da Fabrizio Guarino Junior a seguito di un miracolo tramandato Mons. De Rossi nella relazione della visita pastorale alla Diocesi di Ugento del 1711: il barone si ammalò di peste a Napoli e nonostante le sue ricchezze, non riuscì a ingaggiare dei medici con competenze tali da guarirlo; a quel punto chiese l’intercessione di San Carlo Borromeo, facendo voto di edificare una chiesa in suo onore: la febbre svanì immediatamente e il barone, ormai guarito, fece costruire la chiesa innanzi al suo Castello. Da allora, la Parrocchia, prima dedicata San Giovanni Battista, fu intitolata al nuovo Patrono San Carlo.

È stata la prima Parrocchia in Terra d'Otranto dedicata al Santo Cardinale milanese, canonizzato nel 1610, ed è rimasta l'unica dell'intera provincia fino al 1684. Inoltre, essa è stata la terza parrocchiale di Acquarica (dopo quella della Madonna dei Panetti e quella di San Giovanni Battista) dal 20 gennaio 1619 al 12 ottobre 1975.

Nella chiesa si conserva la reliquia dei capelli del Santo in ostensorio argenteo del XVIII secolo e una statua in legno di San Carlo Borromeo (prima metà del XIX sec.), arricchita nel 1910 del libro delle Costituzioni milanesi e di un Crocefisso, entrambi in argento, portati in mano dal Patrono, e tutelati dal Ministero della Cultura.

La sobria facciata è impreziosita da un bel portale in pietra leccese, incorniciato da una decorazione di foglie d’acanto e sormontato da un architrave con motivi floreali in stile barocco e un timpano spezzato con al centro il trigramma JHS, e tutelato dal Ministero della Cultura.

Sotto la trabeazione si legge il passo in latino che riprende il Salmo 15,2 "Qui ingreditur sine macula et operatur iustitiam salvabitur A.N.D 1661" ("Chi entra senza macchia e opera la giustizia sarà salvato A.D. 1661"): la data probabilmente si riferisce agli interventi di ricostruzione del presbiterio, danneggiato dal crollo del campanile avvenuto pochi anni dopo l'ultimazione.

La cella presbiteriale presenta una volta a crociera, mentre la navata centrale ha una volta a botte lunettata con spigolo alla leccese. Essa ospita il seicentesco altare maggiore in pietra leccese recante ai lati gli stemmi di Acquarica del Capo. Al centro è posto il tabernacolo, il cui sportello di fattura napoletana (1799) è tutelato dal Ministero della Cultura.

Lo sovrastano un organo a canne (1872) realizzato dal noto organaro Luigi Palma da Maglie, (autore dell'organo della Basilica di Santa Maria di Leuca), e un pulpito, entrambi in legno e riportanti gli stemmi di Acquarica.

La balaustra originale, rimossa a seguito del Concilio Vaticano II, come spesso è accaduto altrove, è oggi conservata nella sagrestia. Qui vi si trova un lavabo in pietra leccese (1773) e quattro statue: quelle in cartapesta della Madonna dei Fiori (1909) e del Cristo Risorto, e quelle in legno (tutelate dal Ministero della Cultura) della Madonna del Rosario (XVII - XVIII sec.) e della Madonna Immacolata (prima meta del XVIII sec., forse realizzata da Pietro Patalano, fratello maggiore del più noto Gaetano).

I pavimenti sono in marmo bianco, rifatto nel 1951 (quando fu svuotato il cimitero sottostante) e riammodernato nel 2003; un nuovo altare con ambone in pietra leccese fu aggiunto agli inizi degli anni '70 del Novecento e scolpiti nello stesso stile ornamentale.

A sinistra dell'ingresso sono presenti due acquasantiere in pietra leccese (XVIII sec.) a cui si accompagnava un tempo il fonte battesimale (secondo il Sigliuzzo, proveniente dalla chiesetta di Celsorizzo )


I tre altari laterali: Madonna del Rosario, San Carlo e Immacolata

Lungo la parete sinistra ci sono tre altari, ricchi di decorazioni in stile barocco, riportati ai colori originari dopo un lungo intervento di restauro terminato nel 2019:

  • il primo, dedicato alla Madonna del Rosario, custodisce una tela risalente alla prima metà del XVII sec. della scuola del Catalano, raffigurante la Vergine con Angeli, San Domenico e Santa Caterina da Siena, re e Pontefice in basso, contornati da 15 immagini dei misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi: esso riflette la devozione a Maria e la pratica della recita del Rosario, rilanciata da Papa Pio V in occasione della battaglia di Lepanto (1571) e sostenuta durante e dopo il Concilio di Trento dai padri domenicani. Presso l'altare era costituita l'omonima Confraternita (nel 1711, Acquarica del Capo contava ben 4 Confraternite, il numero piu alto della Diocesi): come spiega il Prof. Mons. Salvatore Palese "Le confraternite del Rosario avevano il proprio altare in quello dedicato alla Madonna del Rosario che era stato costruito sempre per loro iniziativa, spesso anche con il contributo delle Università e dei fedeli. Davanti ad essi, il mercoledi, il venerdi e la domenica di ogni settimana, confratelli e fedeli recitavano la corona del Rosario. Perciò questi altari vennero organizzati architettonicamente in maniera da contenere una grande tela raffigurante la Madonna col Bambino sulle ginocchia che consegna la corona a santi domenicani e, lungo il perimetro della tela ovvero in una serie di ovali, i misteri del Rosario, come si può vedere in quelli di Acquarica e di Morciano". In alto trova posto un tondo con la rappresentazione dello Spirito Santo;

  • il secondo è l'altare dedicato al Patrono San Carlo Borromeo, commissionato nel XVII secolo dalla famiglia Panzera (della quale si notano gli stemmi araldici presenti anche nella statua lignea della Madonna del Ponte risalente al 1749, che tuttavia altri riconducono alla famiglia Ducale di Alessano), preziosa testimonianza delle tecniche artistiche del tempo: infatti, per dare l'effetto cromatico di finto marmo, furono applicate delle lacche colorate su lamine d'argento. L'altare si caratterizza per due ricche colonne tortili attorno alla cornice che accoglie una tela (prima metà del XVIII secolo) raffigurante San Carlo Borromeo, San Gaetano Thiene, San Nicola di Myra e San Vincenzo Ferreri inginocchiati davanti al Dio Padre, e dal fastigio ospitante la statua in pietra della Madonna Addolorata (XVIII-XIX secolo), opere entrambe tutelate dal Ministero della Cultura. Al paliotto dell'altare è presente inoltre un bassorilievo del Cristo Deposto: la scelta di associare al Patrono elementi della Passione di Cristo trova probabilmente origine nel pellegrinaggio alla Sacra Sindone fatto da San Carlo a Torino; i due bassorilievi alla base delle colonne mostrano dei momenti caratterizzanti la figura del Santo Patrono: la predicazione e la somministrazione dei Sacramenti; le statue ai lati di San Francesco di Paola, noto predicatore, e San Pasquale Baylon, fervente adoratore del S.S. Sacramento, rimarcano in parallelo questo messaggio.

  • il terzo altare dedicato alla Vergine Immacolata (XVIII sec.), si caratterizza per le linee rococò e accoglie tre sculture policrome del XVII secolo (provenienti da un precedente altare) raffiguranti l'Immacolata e i Santi Pietro e Paolo, attribuite allo scultore alessanese Placido Buffelli (1635 - 1693), uno tra i più importanti artisti Salentini del XVII secolo.


L'altare della cappella dell'Annunciazione

Nel 1664 il chierico Giovanni Antonio De Capo, per disposizione testamentaria di Matteo Stasi, fece costruire la cappella dell'Annunciazione di Maria con elegante altare barocco dotato di colonne tortili finemente decorate, e tomba gentilizia per gli eredi De Capo, come testimonia la scritta: "Joannes Antonius De Capo sacellum hoc erexit 1664".

Forse questa fu l'origine della costruzione della navata minore, con volta a botte, che affiancò quella centrale mediante l’abbattimento della parete tra i pilastri di destra. Questo altare custodisce una tela seicentesca ed è affiancato dalle statue di Sant'Antonio di Padova e San Giuseppe, provenienti da un precedente altare, forse dedicato ai due Santi, risalente a dopo il 1636, ed eliminato quando sono state aperte le arcate tra le due navate.


L'altare della Madonna del Carmine e gli altari perduti

Nella navata laterale destra, dove un tempo sorgeva l'antico altare della Madonna del Carmine (1707), è attualmente presente un'arcata con tela della "Madonna con Bambino, angeli e anime purganti" (1881) di Francesco Saverio Mercaldi (1844 - 1923, pittore, poeta e scrittore di Gagliano del Capo, autore di alcune importanti opere tra cui la tela di San Francesco di Paola custodita in un altare della Basilica Santuario di Santa Maria di Leuca), tutelata dal Ministero della Cultura.

Altri altari andarono purtroppo perduti: durante i restauri del 1951 fu eliminato l'altare costruito da Tommaso Caccetta dedicato alla Madonna di Costantinopoli, nella tradizione bizantina protettrice dei viandanti e dei pellegrini: di esso è rimasta la tela di ignoto del XVII custodita nella sagrestia della chiesa.

A Don Oronzo Sammali (discendente del Caccetta e promotore del restauro della chiesa della Madonna di Pompignano), si deve la costruzione nel 1695 dell'altare perduto di Sant'Agostino, per il quale il sacerdote ottenne la concessione dell'indulgenza per i confratelli e l'aggregazione all'Arciconfraternita di Bologna: una rarità se si considera che unico altro luogo di culto dedicato al Santo era presente in Salve.

Sulla stessa parete sono conservate in nicchie di legno le statue in cartapesta di Sant’Antonio (1910-1920, restaurata nel 1939) e San Luigi (1927), quest'ultima portata qui dalla Chiesa della Madonna del Ponte nel 1986.


Il campanile e la perduta torre dell'orologio

Il campanile attuale ha una linea essenziale, ma la sommità che lo chiude è di stile barocco: due linee curve si ripetono per poi culminare in una sfera, purtroppo non più presente. È dotato di due campane: una reca la scritta «Piero Olita di Luigi 1849» e l’altra «Gerardus Bruno a Vineola Figli A.D. 1772».

Cartolina del 1940 dove è visibile l'antica torre dell'orologio
Cartolina del 1940 dove è visibile l'antica torre dell'orologio - Collezione Tommaso Coletta

All'ingresso del giardinetto che si apre dietro la sacrestia vi è una lapide di un vecchio orologio del 1772 che si trovava su una torre affiancata al primo pilastro sinistro della chiesa, presente sino agli anni Sessanta.

Sulla lapide, ritrovata durante i lavori di restauro del 1964, è incisa la seguente frase: "TEMPORA QUAE FUGIUNT / HIC DESIGNANTUR ET HORAE / PALLIDA QUAS HOMINI / MORS CITO FALCE METIT / A.R.S. 1772"

(Traduzione: "I tempi che passano qui vengono segnati e le ore che la pallida morte miete veloce all'uomo. Anno della Redenzione 1772").


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